CAPITOLO
I
Una
figura solitaria si stava avvicinando ad una tenda buia.
Amor
era distrutta, sia fisicamente che mentalmente. Durante tutta la
settimana passata, si era chiesta più volte come mai il Maestro
Drevion le avesse ordinato di seguire l'esercito, mentre tutti gli
altri maghi erano rimasti con lui in città.
Il
capo dei maghi non aveva svelato a nessuno il contenuto della visione
avuta, nemmeno a Visel, il suo miglior allievo e probabile
successore.
Ancora
non riusciva a capire cosa passasse per la mente del Maestro.
“Devi
apprendere le basi della guarigione. Imparerai più in fretta sul
campo, un giorno ti potrà esere utile!”, questo era il messaggio
che gli aveva mandato, per bocca di Visel.
C'era
solo un problema, lei non era una guaritrice! Era una maga dai poteri
mediocri! Anche se si impegnava molto di certo non sarebbe mai
diventata potente. Inoltre, la differenza tra un mago e un guaritore,
non stava nella quantità di magia, nella concentrazione o
nell'intelligenza, e un' esempio lampante ne era Naaria, il capitano
dei guaritori. Lei aveva un grandissimo potere. Tutto ciò che
differenziava un mago da un guaritore era innato. Nessuno aveva mai
capito come questo succedesse, accadeva e basta. Il figlio di un
guaritore poteva diventare un ottimo arciere, quello di un'abile spia
un segugio e infine quello di un mago poteva non avere
caratteristiche particolati. Ogni elfo nasceva con i suoi poteri, che
fossero fisici o mentali, perché anche gli spadaccini possedevano
una propria magia e ognuno era speciale.
Per
questo, Amor, continuava a non capire perchè il Maestro l'avesse
spedita in battaglia, non per combattere, ma per curare! Non ne aveva
le facoltà!
Si
era comunque impegnata, con il misero risultato di riuscire a
suturare qualche ferita con grande sforzo e ad alleviare la febbre di
alcuni combattenti, usando espedienti più o meno semplici.
Alla
fine, la sera, si ritirava nella sua tenda distrutta da quello che
per lei era un esercizio sfibrante e snervante.
Naaria,
che la seguiva da vicino, le aveva più volte detto che stava
ottenendo degli ottimi risultati, ma lei continuava a sentirsi
frustata e ferita. Perché doveva passare tutto questo? Cosa aveva
sbagliato? Cosa aveva spinto il Maestro a punirla?
Si
stava impegnando molto nello studio della magia, stava migliorando e
affinando i suoi poteri.
Eppure
il Maestro Drevion l'aveva spedita via, al seguito di un esercito
inviato a respingere un contingente di goblin che era penetrato nel
loro territorio.
Avvilita
entrò nella sua tenda, accese le candele che erano sparse
all'interno con un filamento di magia. Quando l'ambiente fu
completamente illuminato si diresse verso l'angolo più lontano, dove
c'era una bacinella piena d'acqua. Quella mattina, prima di recarsi
alle tende dei guaritori era andata a riempirla, consapevole che a
sera non ne avrebbe avuto nessuna voglia. Mentre si spogliava e
depositava i vestiti sporchi di sudore, terra e sangue su una sedia
lì vicina, si concentrò e con la magia ne scaldò il contenuto.
Immerse un dito e quando fu soddisfatta della temperatura bagnò un
panno, con il quale cominciò a lavare il suo corpo stanco. In un
accampamento militare era un lusso raro perfino avere dell'acqua
calda, ma come ogni sera si ritrovò a desiderare ardentemente di
potersi immergere in una fonte termale, per rigenerare lo spirito e
il corpo.
Nella
mente continuava a rivivere le ultime settimane, cercando un suo
sbaglio, o qualcosa che potesse giustificare tutto questo.
Un
brivido le risalì la schiena, riportandola al presente; l'acqua si
era raffreddata e guardando le candele, si accorse che era passato
diverso tempo durante il quale lei era rimasta imbambolata, persa nei
suoi pensieri.
Si
scosse e concentrandosi riscaldò nuovamente l'acqua, con cui si lavò
velocemente per poi chinarsi e immergere la testa. Anche se ormai
l'estate era alle porte, il freddo era sempre pungente di sera e non
voleva ammalarsi, quindi strizzò i capelli, eliminando l'eccesso di
acqua che formò una pozza prima di essere risucchiata dal terreno
asciutto. Prese abiti puliti e li indossò; proprio mentre si
stava pettinando sentì dei passi fuori dalla tenda.
“Amor
posso entrare?”, chiese qualcuno dall'esterno. Era la voce di
Naaria che durante tutta la marcia di rientro, ogni notte, era venuta
a trovarla sedendosi con lei e parlando per ore.
“Si
entri pure, Capitano”, rispose Amor mentre finiva di sistemarsi.
Naaria
era uno dei nove capitani della forza bellica degli elfi; combattenti
straordinari, oltre che i migliori nel loro settore, tenevano le
redini di uno degli eserciti più letali al mondo.
Era
un' elfa alta e magra di circa trecentocinquanta anni, diventata
capitano dei guaritori quando ne aveva solo duecentocinquanta. Aveva
un viso ovale e pieno, occhi verdi stupendi, ciglia lunghe e folte e
una carnagione ambrata molto luminosa. I capelli erano nuvole castane
che le ricadevano sulle spalle; quella sera li aveva lasciati
sciolti, mentre di solito li acconciava in pettinature seriose e
rigide. Se i suoi occhi e l'espressione della sua faccia non avessero
sempre avuto quell'aria severa sarebbe stata veramente una bellezza
mozzafiato.
“Quante
volte ti ho detto che non devi chiamarmi capitano?”, le chiese,
sorprendendola nuovamente con quel modo gentile che usava solo con
lei.
Certo,
non che il suo modo austero sparisse mai del tutto, però Amor, una
volta arrivata al campo ed essere passata sotto la sua supervisione,
si era resa conto che non si trattava della persona fredda e
distaccata che tutti dipingevano. O almeno, con lei non lo era
affatto. Durante le ore di lavoro, la seguiva e cercava di spiegarle
come operare sulle piccole ferite; era si rigorosa, ma anche
comprensiva. Capiva che per lei era un grande sforzo, la
incoraggiava, ma non accettava che battesse la fiacca. Dal canto suo,
Amor si stava impegnando tantissimo e nel giro di un paio di giorni
era riuscita a curare due spadaccini che si erano feriti leggermente
durante un allenamento.
Quel
giorno aveva assistito una spia, che era stata avvelenata durante una
missione. Le aveva tenuto sotto controllo la temperatura,
riscaldandola o raffreddandola, mentre gli altri guaritori si davano
da fare per trovare un antidoto. Era stato un lavoro noioso, ma
almeno aveva consumato poca energia e l'emicrania, che la
perseguitava ormai da diversi giorni, non era peggiorata.
“Allora,
come va il mal di testa oggi?”, le chiese la guaritrice come se le
avesse letto nel pensiero.
“Un
pochino meglio, per fortuna”, rispose Amor andando a sedersi su una
delle due sedie che erano disposte intorno al piccolo tavolo.
“Hai
già cenato?”, chiese Naaria, guardandosi in giro mentre la seguiva
e si accomodava a sua volta.
“No,
non ancora. Ho appena finito di lavarmi e stavo giusto pensando di
andare alla mensa.”
“
Bene, nemmeno io. Che ne dici, ti dispiace se ti faccio compagnia?”,
le chiese allegramente.
“Mi
farebbe molto piacere. Non conosco praticamente nessuno e stasera non
mi va proprio di cenare da sola”, le rispose Amor, alzandosi.
“Non
hai ancora fatto amicizia? Strano, i miei ragazzi di solito sono
molto socievoli.”, disse mentre il suo volto ritrovava una nota
severa “Aggiungerei fin troppo!”
Amor
si era fatta l'idea che il capitano assumesse quell'atteggiamento per
tenere in riga i suoi sottoposti. Da quando aveva cominciato a
lavorare al loro fianco capiva quanta serietà e concentrazione
servissero nel curare i feriti. Secondo lei, il vero carattere di
Naaria era ben diverso da quello che mostrava abitualmente; i lunghi
anni di allenamento e poi l'essere diventata un capo così giovane
avevano si, rafforzato e temprato il suo carattere, ma l'avevano
anche resa dura e quasi distaccata, perché nelle sue mani e in
quelle dei suoi guaritori passavano le vite di centinaia di elfi ogni
giorno.
“Purtroppo
non sono molto brava a socializzare e ultimamente ho molte cose che
mi ronzano per la testa e mi distraggono”, rispose Amor, che nel
frattempo era uscita dalla tenda e con un piccolo movimento della
mano aveva spento tutte le candele.
Ogni
volta che usava la magia vedeva che Naaria la osservava attentamente.
Nei suoi occhi non c'era risentimento o invidia ma solo curiosità.
Sembravano quelli di un bambino davanti ai regali di compleanno.
Amor
non riusciva a capire come delle piccolissime magie come quelle
potessero interessare ad una guaritrice come lei.
“Ti
stupisce che io sia così attirata dalla magia vero?”, domandò
interrompendo i suoi pensieri e lasciandola interdetta per alcuni
secondi.
“Beh,
sinceramente mi sembra strano che una guaritrice del tuo valore possa
sentirsi affascinata da magie così insignificanti”, le rispose e
dopo aver pronunciato quel pensiero ad alta voce arrossì e abbassò
la testa. Era stata troppo sfacciata. Anche se Naaria si comportava
da amica lei era comunque uno dei nove Capitani.
“Hai
ragione, so che la cosa può sembrare strana”, le sorrise
rassicurante la guaritrice. Di nuovo aveva capito cosa le passava per
la mente. “Devi sapere che mio padre era un mago, anche se non dei
più forti. Da piccola spesso mi intratteneva con piccoli trucchi di
magia e crescendo il mio più grande sogno era quello di diventare
una maga come lui. Invece col passare del tempo in me cominciarono ad
apparire i primi segni della magia della guarigione” disse
sollevando la camicia e mostrando ad Amor il piccolo tatuaggio che si
trovava sulla sua pancia piatta e tesa. Quel simbolo mostrava un
piccolo albero carico di frutti.
Tutti
gli elfi, con doti particolari, durante l'adolescenza vedevano
comparire sulla propria pancia un tatuaggio che li distingueva. Le
nove categorie avevano un simbolo diverso per ognuna, che con il
passare del tempo e l'accrescere delle potenzialità si evolveva e
mutava.
“A
trent'anni sulla mia pancia apparve il germoglio dei guaritori”,
riprese a raccontare dopo un attimo di silenzio e sul suo viso triste
apparve un piccolo sorriso. “Mio padre mi sorprese organizzando una
grande festa e si mise alla ricerca di un bravo maestro per me.
Iniziai il mio addestramento dopo nemmeno due settimane e passati i
primi dieci anni il mio germoglio si era già evoluto ed era apparso
un piccolo alberello. Trascorsi altri venti anni avevo un bell'albero
in fiore e mio padre era sempre più orgoglioso di me”, gli occhi
di Naaria si riempirono di lacrime. Amor non riusciva a capacitarsi
di ciò che stava succedendo. Si stava confidando con lei, com'era
possibile?
“L'evoluzione
del mio potere si fermò e per oltre cent'anni l'alberò non mutò
più”, continuò Naaria prendendo un grande respiro. “All'età di
centosessanta anni fui chiamata a seguire l'esercito. Ero molto
giovane, troppo per andare in guerra, ma il periodo non era dei più
pacifici. I nemici spingevano ai confini, distruggevano e
saccheggiavano tutto ciò che potevano. Nell'inverno del mio
centosessantacinquesimo compleanno un grande esercito riuscì a
rompere le difese e a penetrare nelle nostre terre e venimmo mandati
subito ad affrontarli. Anche mio padre fu richiamato”, la sua voce
si incrinò leggermente. “Fu una battaglia lunga e sanguinosa.
Riuscimmo a respingere il nemico, ma riportammo grandi perdite. Mio
padre era tra questi. Morì mentre cercavo in tutte le maniere di
salvarlo, ma il mio potere a quel tempo non era sufficiente.”
Naaria
si interruppe asciugandosi una piccola lacrima solitaria che le era
scesa lungo la guancia, prima di proseguire “Dopo nemmeno un mese,
il tatuaggio sulla mia pancia mutò nuovamente e diventò questo
bell'albero carico di frutti. Pochi elfi alla mia età potevano anche
solo sperare di avere il simbolo di quello in fiore e questo confermò
che avevo una grande energia dentro di me. Ma non ero riuscita
ugualmente a salvarlo. Questo mi faceva soffrire molto; da quel
momento mi impegnai giorno e notte per migliorare. Nessuno doveva più
morire, sarei riuscita a guarire più elfi possibile”, riprese
fiato lentamente. “Così mio padre sarebbe stato sempre fiero di
me”, concluse riavendosi da quel turbine di ricordi.
“Comunque,
ciò non toglie che sono sempre stata affascinata dalla magia e per
questo, anche le più semplici, che per te sembrano sciocchezze, per
me sono cose meravigliose”, finalmente un gran sorriso comparve
sulle sue labbra.
“Deve
essere stata dura superare la morte di tuo padre”, osservò Amor
che si sentì triste per la storia appena ascoltata.
“Adesso
basta con questi discorsi. Il passato ormai è alle spalle e dobbiamo
lasciarlo lì dové, andando avanti e crescendo”, Naaria sembrava
tornata l' elfa di sempre e Amor si sentiva una bambina vicino a lei;
anche se erano praticamente coetanee la guaritrice aveva già una
saggezza propria solo dei più anziani. La storia del padre, non
doveva essere l'unica cosa triste che si era lasciata alle spalle.
In
quel momento Amor inciampò in una zolla di terra e si rese conto che
erano giunte alla grande tenda circolare che veniva usata come sala
mensa.
Entrarono
in silenzio e all'interno vennero accolte da un gran vociare.
Nonostante l'ora tarda i tavoli erano quasi tutti pieni. L'esercito
era grande e veniva servita la cena a più ore, così da garantire il
pasto per tutti.
Naaria
le passò davanti, ma non si diresse verso il tavolo dei capitani,
dove stavano mangiando e conversando animatamente Simir e Anter;
invece andò verso il punto più lontano, e mentre passava tra le
varie tavolate salutava tutti quelli che le rivolgevano la parola.
Amor
la seguiva a testa bassa, sentendo i commenti dei guaritori che
incontrava.
Tutti
si chiedevano perché Naaria concedesse così tanto tempo a quella
maga così debole da non esser nemmeno voluta al Palazzo dei Maghi.
Quei
sussurri le provocavano piccole fitte di dolore, non solo nel suo
orgoglio, ma anche nella sua autostima, mentre sulla pancia sentiva
bruciare il piccolo tatuaggio a forma di yin&yang sormontato da
due piccoli soli, ulteriore dimostrazione della sua mediocrità.
Naaria
le si fece vicina e le mise una mano sulla spalla. “Non far caso a
quel che dicono. Fidati di lui e lascia perdere chi parla solo per
gelosia”, pronunciò queste parole abbastanza forte perché il
gruppetto che l'aveva appena derisa sentisse; e infatti, i volti dei
guaritori divennero rossi all'istante. Alcuni tossirono e si misero a
parlare tra di loro, altri fecero finta di riprendere a mangiare e
altri ancora strinsero i pugni frustati per il rimbrotto.
“Grazie,
per me è veramente dura credere che quello che hanno detto quei sei
non sia vero. Mi chiedo ogni giorno perché il Maestro mi abbia
voluto punire e allontanare dal resto dei maghi”, disse, mentre gli
occhi le si riempivano di lacrime, che furono subito ricacciate
indietro con frustrazione. Non poteva mostrarsi così debole davanti
ad un capitano.
“Non
devi sforzarti, capisco che per te tutto questo sia pesante, ma io
credo in Drevion e nella sua saggezza. Ognuno di noi capitani è
stato scelto per le proprie doti innate, che nel tempo si sono
manifestate. Prendi per esempio Anter”, le disse, indicando con un
cenno della testa uno dei due elfi seduti al tavolo dei Capitani
“Comandante degli esploratori é un cacciatore nato e sin da
piccolo si é distinto nell' arte del ritrovamento di tracce
invisibili ai più. Oppure Asplie, capitano degli arcieri, la cui
precisione é proverbiale. Un racconto su tutti la descrive quando,
in uno dei tanti scontri con i goblin, ha salvato la vita a Mastat
deviando una mortale freccia scoccandone un'altra a sua volta. Invece
Mastat, il capo degli assassini, è un'elfa talmente tetra e
sfuggente che è riuscita a restare nascosta per settimane nella tana
di un capo orco, attendendo il momento propizio per ucciderlo. Un
altro comandante di spicco è Ragul, dei draghi, che è il più forte
e il più grande drago verde che si sia mai visto e poi c'è Pain il
segugio, a capo di un gruppo di elfi più simili ad animali che a
persone. Quindi Athlon, lo spadaccino al comando della prima linea,
un contingente noto per la maestria nell'uso delle armi più
improbabili; ed infine Simir il più inquietante del gruppo, con doti
di trasformismo fuori dal comune. E' rimasto famoso il suo colloquio
con un capoclan degli orchi che scambiatolo per uno di loro voleva
vendergli la figlia in sposa”, al ricordare l'episodio la bocca di
Naaria si aprì in un sorriso divertito, che contagiò anche la
preoccupata Amor e scoppiarono a ridere in modo così fragoroso da
zittire tutti. “Tutto questo è per dirti che se Drevion ti ha
voluto qui sicuramente avrà avuto i suoi motivi.”
Rincuorata
Amor seguì il Capitano ed andarono a sedersi ad un tavolo isolato.
Quasi subito arrivò un elfo con la cena, così cominciarono a
mangiare. Nel corso della serata la conversazione fu più leggera e
divertente.
Ogni
tanto, Amor, si buttava un occhio alle spalle e guardava il gruppetto
che continuava a osservarle, notando i visi lividi di quei sei;
dall'esterno, la simpatia che Naaria dimostrava per lei poteva
sembrare compassione. Invece Amor era sicura che a muoverla erano
altri sentimenti che non era ancora riuscita a comprendere.
Finita
la cena la maga si congedò. Finalmente l'attendeva un sonno
ristoratore.