giovedì 29 ottobre 2015

Il Concilio delle Razze - Capitolo 1


CAPITOLO I

Una figura solitaria si stava avvicinando ad una tenda buia.
Amor era distrutta, sia fisicamente che mentalmente. Durante tutta la settimana passata, si era chiesta più volte come mai il Maestro Drevion le avesse ordinato di seguire l'esercito, mentre tutti gli altri maghi erano rimasti con lui in città.
Il capo dei maghi non aveva svelato a nessuno il contenuto della visione avuta, nemmeno a Visel, il suo miglior allievo e probabile successore.
Ancora non riusciva a capire cosa passasse per la mente del Maestro.
“Devi apprendere le basi della guarigione. Imparerai più in fretta sul campo, un giorno ti potrà esere utile!”, questo era il messaggio che gli aveva mandato, per bocca di Visel.
C'era solo un problema, lei non era una guaritrice! Era una maga dai poteri mediocri! Anche se si impegnava molto di certo non sarebbe mai diventata potente. Inoltre, la differenza tra un mago e un guaritore, non stava nella quantità di magia, nella concentrazione o nell'intelligenza, e un' esempio lampante ne era Naaria, il capitano dei guaritori. Lei aveva un grandissimo potere. Tutto ciò che differenziava un mago da un guaritore era innato. Nessuno aveva mai capito come questo succedesse, accadeva e basta. Il figlio di un guaritore poteva diventare un ottimo arciere, quello di un'abile spia un segugio e infine quello di un mago poteva non avere caratteristiche particolati. Ogni elfo nasceva con i suoi poteri, che fossero fisici o mentali, perché anche gli spadaccini possedevano una propria magia e ognuno era speciale.
Per questo, Amor, continuava a non capire perchè il Maestro l'avesse spedita in battaglia, non per combattere, ma per curare! Non ne aveva le facoltà!
Si era comunque impegnata, con il misero risultato di riuscire a suturare qualche ferita con grande sforzo e ad alleviare la febbre di alcuni combattenti, usando espedienti più o meno semplici.
Alla fine, la sera, si ritirava nella sua tenda distrutta da quello che per lei era un esercizio sfibrante e snervante.
Naaria, che la seguiva da vicino, le aveva più volte detto che stava ottenendo degli ottimi risultati, ma lei continuava a sentirsi frustata e ferita. Perché doveva passare tutto questo? Cosa aveva sbagliato? Cosa aveva spinto il Maestro a punirla?
Si stava impegnando molto nello studio della magia, stava migliorando e affinando i suoi poteri.
Eppure il Maestro Drevion l'aveva spedita via, al seguito di un esercito inviato a respingere un contingente di goblin che era penetrato nel loro territorio.
Avvilita entrò nella sua tenda, accese le candele che erano sparse all'interno con un filamento di magia. Quando l'ambiente fu completamente illuminato si diresse verso l'angolo più lontano, dove c'era una bacinella piena d'acqua. Quella mattina, prima di recarsi alle tende dei guaritori era andata a riempirla, consapevole che a sera non ne avrebbe avuto nessuna voglia. Mentre si spogliava e depositava i vestiti sporchi di sudore, terra e sangue su una sedia lì vicina, si concentrò e con la magia ne scaldò il contenuto. Immerse un dito e quando fu soddisfatta della temperatura bagnò un panno, con il quale cominciò a lavare il suo corpo stanco. In un accampamento militare era un lusso raro perfino avere dell'acqua calda, ma come ogni sera si ritrovò a desiderare ardentemente di potersi immergere in una fonte termale, per rigenerare lo spirito e il corpo.
Nella mente continuava a rivivere le ultime settimane, cercando un suo sbaglio, o qualcosa che potesse giustificare tutto questo.
Un brivido le risalì la schiena, riportandola al presente; l'acqua si era raffreddata e guardando le candele, si accorse che era passato diverso tempo durante il quale lei era rimasta imbambolata, persa nei suoi pensieri.
Si scosse e concentrandosi riscaldò nuovamente l'acqua, con cui si lavò velocemente per poi chinarsi e immergere la testa. Anche se ormai l'estate era alle porte, il freddo era sempre pungente di sera e non voleva ammalarsi, quindi strizzò i capelli, eliminando l'eccesso di acqua che formò una pozza prima di essere risucchiata dal terreno asciutto. Prese abiti puliti e li indossò; proprio mentre si stava pettinando sentì dei passi fuori dalla tenda.
“Amor posso entrare?”, chiese qualcuno dall'esterno. Era la voce di Naaria che durante tutta la marcia di rientro, ogni notte, era venuta a trovarla sedendosi con lei e parlando per ore.
“Si entri pure, Capitano”, rispose Amor mentre finiva di sistemarsi.
Naaria era uno dei nove capitani della forza bellica degli elfi; combattenti straordinari, oltre che i migliori nel loro settore, tenevano le redini di uno degli eserciti più letali al mondo.
Era un' elfa alta e magra di circa trecentocinquanta anni, diventata capitano dei guaritori quando ne aveva solo duecentocinquanta. Aveva un viso ovale e pieno, occhi verdi stupendi, ciglia lunghe e folte e una carnagione ambrata molto luminosa. I capelli erano nuvole castane che le ricadevano sulle spalle; quella sera li aveva lasciati sciolti, mentre di solito li acconciava in pettinature seriose e rigide. Se i suoi occhi e l'espressione della sua faccia non avessero sempre avuto quell'aria severa sarebbe stata veramente una bellezza mozzafiato.
“Quante volte ti ho detto che non devi chiamarmi capitano?”, le chiese, sorprendendola nuovamente con quel modo gentile che usava solo con lei.
Certo, non che il suo modo austero sparisse mai del tutto, però Amor, una volta arrivata al campo ed essere passata sotto la sua supervisione, si era resa conto che non si trattava della persona fredda e distaccata che tutti dipingevano. O almeno, con lei non lo era affatto. Durante le ore di lavoro, la seguiva e cercava di spiegarle come operare sulle piccole ferite; era si rigorosa, ma anche comprensiva. Capiva che per lei era un grande sforzo, la incoraggiava, ma non accettava che battesse la fiacca. Dal canto suo, Amor si stava impegnando tantissimo e nel giro di un paio di giorni era riuscita a curare due spadaccini che si erano feriti leggermente durante un allenamento.
Quel giorno aveva assistito una spia, che era stata avvelenata durante una missione. Le aveva tenuto sotto controllo la temperatura, riscaldandola o raffreddandola, mentre gli altri guaritori si davano da fare per trovare un antidoto. Era stato un lavoro noioso, ma almeno aveva consumato poca energia e l'emicrania, che la perseguitava ormai da diversi giorni, non era peggiorata.
“Allora, come va il mal di testa oggi?”, le chiese la guaritrice come se le avesse letto nel pensiero.
“Un pochino meglio, per fortuna”, rispose Amor andando a sedersi su una delle due sedie che erano disposte intorno al piccolo tavolo.
“Hai già cenato?”, chiese Naaria, guardandosi in giro mentre la seguiva e si accomodava a sua volta.
“No, non ancora. Ho appena finito di lavarmi e stavo giusto pensando di andare alla mensa.”
“ Bene, nemmeno io. Che ne dici, ti dispiace se ti faccio compagnia?”, le chiese allegramente.
“Mi farebbe molto piacere. Non conosco praticamente nessuno e stasera non mi va proprio di cenare da sola”, le rispose Amor, alzandosi.
“Non hai ancora fatto amicizia? Strano, i miei ragazzi di solito sono molto socievoli.”, disse mentre il suo volto ritrovava una nota severa “Aggiungerei fin troppo!”
Amor si era fatta l'idea che il capitano assumesse quell'atteggiamento per tenere in riga i suoi sottoposti. Da quando aveva cominciato a lavorare al loro fianco capiva quanta serietà e concentrazione servissero nel curare i feriti. Secondo lei, il vero carattere di Naaria era ben diverso da quello che mostrava abitualmente; i lunghi anni di allenamento e poi l'essere diventata un capo così giovane avevano si, rafforzato e temprato il suo carattere, ma l'avevano anche resa dura e quasi distaccata, perché nelle sue mani e in quelle dei suoi guaritori passavano le vite di centinaia di elfi ogni giorno.
“Purtroppo non sono molto brava a socializzare e ultimamente ho molte cose che mi ronzano per la testa e mi distraggono”, rispose Amor, che nel frattempo era uscita dalla tenda e con un piccolo movimento della mano aveva spento tutte le candele.
Ogni volta che usava la magia vedeva che Naaria la osservava attentamente. Nei suoi occhi non c'era risentimento o invidia ma solo curiosità. Sembravano quelli di un bambino davanti ai regali di compleanno.
Amor non riusciva a capire come delle piccolissime magie come quelle potessero interessare ad una guaritrice come lei.
“Ti stupisce che io sia così attirata dalla magia vero?”, domandò interrompendo i suoi pensieri e lasciandola interdetta per alcuni secondi.
“Beh, sinceramente mi sembra strano che una guaritrice del tuo valore possa sentirsi affascinata da magie così insignificanti”, le rispose e dopo aver pronunciato quel pensiero ad alta voce arrossì e abbassò la testa. Era stata troppo sfacciata. Anche se Naaria si comportava da amica lei era comunque uno dei nove Capitani.
“Hai ragione, so che la cosa può sembrare strana”, le sorrise rassicurante la guaritrice. Di nuovo aveva capito cosa le passava per la mente. “Devi sapere che mio padre era un mago, anche se non dei più forti. Da piccola spesso mi intratteneva con piccoli trucchi di magia e crescendo il mio più grande sogno era quello di diventare una maga come lui. Invece col passare del tempo in me cominciarono ad apparire i primi segni della magia della guarigione” disse sollevando la camicia e mostrando ad Amor il piccolo tatuaggio che si trovava sulla sua pancia piatta e tesa. Quel simbolo mostrava un piccolo albero carico di frutti.
Tutti gli elfi, con doti particolari, durante l'adolescenza vedevano comparire sulla propria pancia un tatuaggio che li distingueva. Le nove categorie avevano un simbolo diverso per ognuna, che con il passare del tempo e l'accrescere delle potenzialità si evolveva e mutava.
“A trent'anni sulla mia pancia apparve il germoglio dei guaritori”, riprese a raccontare dopo un attimo di silenzio e sul suo viso triste apparve un piccolo sorriso. “Mio padre mi sorprese organizzando una grande festa e si mise alla ricerca di un bravo maestro per me. Iniziai il mio addestramento dopo nemmeno due settimane e passati i primi dieci anni il mio germoglio si era già evoluto ed era apparso un piccolo alberello. Trascorsi altri venti anni avevo un bell'albero in fiore e mio padre era sempre più orgoglioso di me”, gli occhi di Naaria si riempirono di lacrime. Amor non riusciva a capacitarsi di ciò che stava succedendo. Si stava confidando con lei, com'era possibile?
“L'evoluzione del mio potere si fermò e per oltre cent'anni l'alberò non mutò più”, continuò Naaria prendendo un grande respiro. “All'età di centosessanta anni fui chiamata a seguire l'esercito. Ero molto giovane, troppo per andare in guerra, ma il periodo non era dei più pacifici. I nemici spingevano ai confini, distruggevano e saccheggiavano tutto ciò che potevano. Nell'inverno del mio centosessantacinquesimo compleanno un grande esercito riuscì a rompere le difese e a penetrare nelle nostre terre e venimmo mandati subito ad affrontarli. Anche mio padre fu richiamato”, la sua voce si incrinò leggermente. “Fu una battaglia lunga e sanguinosa. Riuscimmo a respingere il nemico, ma riportammo grandi perdite. Mio padre era tra questi. Morì mentre cercavo in tutte le maniere di salvarlo, ma il mio potere a quel tempo non era sufficiente.”
Naaria si interruppe asciugandosi una piccola lacrima solitaria che le era scesa lungo la guancia, prima di proseguire “Dopo nemmeno un mese, il tatuaggio sulla mia pancia mutò nuovamente e diventò questo bell'albero carico di frutti. Pochi elfi alla mia età potevano anche solo sperare di avere il simbolo di quello in fiore e questo confermò che avevo una grande energia dentro di me. Ma non ero riuscita ugualmente a salvarlo. Questo mi faceva soffrire molto; da quel momento mi impegnai giorno e notte per migliorare. Nessuno doveva più morire, sarei riuscita a guarire più elfi possibile”, riprese fiato lentamente. “Così mio padre sarebbe stato sempre fiero di me”, concluse riavendosi da quel turbine di ricordi.
“Comunque, ciò non toglie che sono sempre stata affascinata dalla magia e per questo, anche le più semplici, che per te sembrano sciocchezze, per me sono cose meravigliose”, finalmente un gran sorriso comparve sulle sue labbra.
“Deve essere stata dura superare la morte di tuo padre”, osservò Amor che si sentì triste per la storia appena ascoltata.
“Adesso basta con questi discorsi. Il passato ormai è alle spalle e dobbiamo lasciarlo lì dové, andando avanti e crescendo”, Naaria sembrava tornata l' elfa di sempre e Amor si sentiva una bambina vicino a lei; anche se erano praticamente coetanee la guaritrice aveva già una saggezza propria solo dei più anziani. La storia del padre, non doveva essere l'unica cosa triste che si era lasciata alle spalle.
In quel momento Amor inciampò in una zolla di terra e si rese conto che erano giunte alla grande tenda circolare che veniva usata come sala mensa.
Entrarono in silenzio e all'interno vennero accolte da un gran vociare. Nonostante l'ora tarda i tavoli erano quasi tutti pieni. L'esercito era grande e veniva servita la cena a più ore, così da garantire il pasto per tutti.
Naaria le passò davanti, ma non si diresse verso il tavolo dei capitani, dove stavano mangiando e conversando animatamente Simir e Anter; invece andò verso il punto più lontano, e mentre passava tra le varie tavolate salutava tutti quelli che le rivolgevano la parola.
Amor la seguiva a testa bassa, sentendo i commenti dei guaritori che incontrava.
Tutti si chiedevano perché Naaria concedesse così tanto tempo a quella maga così debole da non esser nemmeno voluta al Palazzo dei Maghi.
Quei sussurri le provocavano piccole fitte di dolore, non solo nel suo orgoglio, ma anche nella sua autostima, mentre sulla pancia sentiva bruciare il piccolo tatuaggio a forma di yin&yang sormontato da due piccoli soli, ulteriore dimostrazione della sua mediocrità.
Naaria le si fece vicina e le mise una mano sulla spalla. “Non far caso a quel che dicono. Fidati di lui e lascia perdere chi parla solo per gelosia”, pronunciò queste parole abbastanza forte perché il gruppetto che l'aveva appena derisa sentisse; e infatti, i volti dei guaritori divennero rossi all'istante. Alcuni tossirono e si misero a parlare tra di loro, altri fecero finta di riprendere a mangiare e altri ancora strinsero i pugni frustati per il rimbrotto.
“Grazie, per me è veramente dura credere che quello che hanno detto quei sei non sia vero. Mi chiedo ogni giorno perché il Maestro mi abbia voluto punire e allontanare dal resto dei maghi”, disse, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime, che furono subito ricacciate indietro con frustrazione. Non poteva mostrarsi così debole davanti ad un capitano.
“Non devi sforzarti, capisco che per te tutto questo sia pesante, ma io credo in Drevion e nella sua saggezza. Ognuno di noi capitani è stato scelto per le proprie doti innate, che nel tempo si sono manifestate. Prendi per esempio Anter”, le disse, indicando con un cenno della testa uno dei due elfi seduti al tavolo dei Capitani “Comandante degli esploratori é un cacciatore nato e sin da piccolo si é distinto nell' arte del ritrovamento di tracce invisibili ai più. Oppure Asplie, capitano degli arcieri, la cui precisione é proverbiale. Un racconto su tutti la descrive quando, in uno dei tanti scontri con i goblin, ha salvato la vita a Mastat deviando una mortale freccia scoccandone un'altra a sua volta. Invece Mastat, il capo degli assassini, è un'elfa talmente tetra e sfuggente che è riuscita a restare nascosta per settimane nella tana di un capo orco, attendendo il momento propizio per ucciderlo. Un altro comandante di spicco è Ragul, dei draghi, che è il più forte e il più grande drago verde che si sia mai visto e poi c'è Pain il segugio, a capo di un gruppo di elfi più simili ad animali che a persone. Quindi Athlon, lo spadaccino al comando della prima linea, un contingente noto per la maestria nell'uso delle armi più improbabili; ed infine Simir il più inquietante del gruppo, con doti di trasformismo fuori dal comune. E' rimasto famoso il suo colloquio con un capoclan degli orchi che scambiatolo per uno di loro voleva vendergli la figlia in sposa”, al ricordare l'episodio la bocca di Naaria si aprì in un sorriso divertito, che contagiò anche la preoccupata Amor e scoppiarono a ridere in modo così fragoroso da zittire tutti. “Tutto questo è per dirti che se Drevion ti ha voluto qui sicuramente avrà avuto i suoi motivi.”
Rincuorata Amor seguì il Capitano ed andarono a sedersi ad un tavolo isolato. Quasi subito arrivò un elfo con la cena, così cominciarono a mangiare. Nel corso della serata la conversazione fu più leggera e divertente.
Ogni tanto, Amor, si buttava un occhio alle spalle e guardava il gruppetto che continuava a osservarle, notando i visi lividi di quei sei; dall'esterno, la simpatia che Naaria dimostrava per lei poteva sembrare compassione. Invece Amor era sicura che a muoverla erano altri sentimenti che non era ancora riuscita a comprendere.
Finita la cena la maga si congedò. Finalmente l'attendeva un sonno ristoratore.

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